Foiano della Chiana è un’antica città in provincia di Arezzo nella Valdichiana.
Di origine prima etrusca e poi romana, nasconde tra le sue mura bellezze storico, architettoniche e artistiche di rilievo.
Ma forse non sai che a Foiano della Chiana si svolge uno dei carnevali più antichi d’Italia: infatti sembra, da fonti scritte, che risalga al 1539.
L’origine della parola Carnevale è controversa. Alcuni pensano che derivi da car navalis, il rito della nave sacra portata in processione su un carro; per altri significa carnes levare, ossia “togliere la carne”, o carne vale “carne, addio”, alludendo ai digiuni quaresimali, dato che il Carnevale finisce con il martedì grasso, a cui segue il mercoledì delle Ceneri, per i cattolici.
Sin dall’antichità, nel mese di febbraio si usavano celebrare rituali per le purificazioni e le commemorazioni dei defunti e la celebrazione del passaggio dalla fine dell’inverno alla primavera.
A questi riti si aggiungevano quelli per la fecondità della terra che, dopo il lungo sonno invernale, doveva nutrire uomini e animali. Quindi si davano grandi valori ai riti e al riso.
Il riso aveva il potere di sconfiggere la morte e il lutto e, da tradizioni antichissime, è collegato alla fertilità, sia della natura che degli uomini.
Ed ecco che arriviamo alle feste di Carnevale. Questo periodo dell’anno, chiamato anche la “festa dei folli”, era il momento dell’anno a cui si dava libero sfogo alla sregolatezza, alla gioia sfrenata, al riso e alle burla (o scherzi).
Era il periodo delle grandi abbuffate, delle danze e del divertimento assoluto.
Il “re” del Carnevale assicurava l’allegria pazza e la sospensione temporanea delle regole, delle leggi e della morale. Era il periodo del “mondo alla rovescia”, del ribaltamento dei ruoli e del ceto sociale. Per tutta la durata dei festeggiamenti tutto era lecito.
I carri carnevaleschi del Rinascimento mostravano la grandezza dei signori e concedeva al popolo sfrenati baccanali. Lo stesso Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, cantava
“Quant’è bella giovinezza,
Che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia
Del doman non c’è certezza”.
E così in questi giorni pazzi approdiamo a Fogliano della Chiana che per cinque settimane si anima con spettacoli, parate e sfilate di carri.
Cuore della manifestazione sono le sfide dei carri dei quattro cantieri, in cui è divisa la città, e che per tutto un anno hanno lavorato nella realizzazione del loro carro.
Ad aprire le danze e a governare per tutto il periodo è Re Giocondo che, proprio come nel lontano passato, avrà il compito di portare via inverno e tristezza con la cerimonia della rificolonata diventando un falò.
Ma quest’anno c’è una novità: alla gara, in questo caso narrativo gastronomica, partecipiamo anche noi.
Grazie ad AIFB siamo chiamate, insieme ad altre blogger dell’associazione, a dare una degna fine al Re Giocondo: dalla padella nella brace!
In questa sfida lavoriamo a 4 mani: io e Gabriella Comini del blog Mezzatazzaditè.
Che fine abbiamo fatto fare al povero Re Giocondo?
La storia di Re Giocondo
Eccoci alla storia di Re Giocondo.
Una piccola premessa è doverosa, questo racconto è tutto inventato e, se troverai qualche cosa che ti ricorderà fatti, persone o altro, non è voluto (o forse), ma ricorda che siamo a carnevale e l’irriverenza e l’allusione vale.
Questa storia risale a tanti tantissimi anni fa.
C’era una volta un tal messer Giocondo
Che dopo aver sperperato tutte le sue ricchezze in vizi, feste e baccanali,
Si ritrovò da solo, senza più una casa né un amico al mondo su cui contare.
Dovette lasciare la sua bella casa e anche lo paese, e a piedi iniziò a peregrinare mendicando un posto dove stare e un poco da mangiare.
Passò così diverso tempo e dello suo bello aspetto nulla gli rimase.
Il suo nome e la sua illustre casata ormai eran solo un ricordo.
Quando egli si presentava, in molti rimembravano Cecilio Giocondo come un illustre e famoso bancario pompeiano dall’intelletto raffinato, ma solo lo nome avea in comune col suo vetusto antenato dato che lo denaro invece di farlo lo avea scialacquato.
Passò lo tempo e Giocondo si ritrovò a camminare per una landa paludosa. Era stanco, infreddolito e, spinto dai morsi della fame, gli insetti prese a mangiare.
I bei banchetti lui sognava mentre alle locuste le zampe staccava.
In questo suo vaneggiare non si accorse che quello era lo allevamento biologico de lo contadino, e che quegli insetti che se stava a magnà erano certificati con marchio di qualità.
Lo contadino urlò “ma chi sei, che stai a fa’ con gli insetti miei che sono li più boni de lo mondo?”
Giocondo si ridestò e si accorse di non esser più solo, così, mentre succhiava una zampetta disse “chiedo venia buon uomo, stavo morendo dalla fame. Ma lo sai che son proprio boni? T’assicuro che boni così nu li ho magnati mai! Ma dimmi un po’ ho ben compreso, tu commerci colli insetti?”
“Oh grullo ben hai compreso, e ora chi mi ripaga di quanto mi hai preso?” E detto ciò il contadino con fare bellicoso acchiappò il malcapitato Giocondo e dentro le mura della cittade lo portò.
Nello borgo, nello palazzo comunale, c’era molto eccitazione per la festa da proclamare e le candidature da vagliare. Ma tutti si fermarono e scrutarono il foresto che veniva scortato.
Giocondo, tutto sporco, trasandato e con le vesti logore e stracciate non era certo un bell’aspetto, ma quando venne interrogato al cospetto dello giudice, si mostrò molto loquace e assai acculturato. L’arte oratoria ben conosceva e incantava il pubblico come voleva.
E, manco sapesse che era tempo di elezioni, conquistò lo pubblico con la sua triste storia e di quanto fosse stato in mala sorte capitato, probabilmente affatturato. Altresì elogiò le sue doti di maestro di cerimonie e che delle sue feste ancor se ne parla.
Lo popolo rimase talmente affascinato che avea dimenticato che Giocondo era foresto e pure ladro, e subito lo elesse maestro di cerimonie e diede mandato che si organizzassero i festeggiamenti.
Giocondo venne portato nei suoi nuovi appartamenti, rifocillato, ripulito e vestito di tutto punto, tosto si mosse a impartir ordini per la festa da organizzare.
Gli bastaron pochi giorni e la lunga festa cominciò: ricchi banchetti che sembrava cucinati da Trimalcione degni di Pantagruel, baccanali, vizi e sollazzi, divertimenti e risa a volontà. Tutto era permesso in questi giorni.
Giocondo era lo re di questo mondo.
Per onorare il suo operato un dolce speciale gli fu portato: la schiacciata dolce fiorentina.
Ei mai lo avea visto né gustato prima. Era una torta bassa e rettangolare, tutta bianca sopra e con uno stemma assai regale. La assaggiò è scoprì che era soffice come una nuvola, profumata e un po’ speziata, e in mezzo una bianca, soffice, delicata, avvolgente crema golosa conquistava tutti li sensi.
Il dolce conquistò e rapì Giocondo che non riuscì più a smettere di mangiare… e ne mangiò e mangiò e mangiò… finché non scoppiò e per autocombustione bruciò.
Lo santo carnevale era oramai finito e tutto ritorna all’ordine prestabilito.
E Giocondo?
La sua storia non finisce qui.
Giocondo si ritrovò nello mondo degli inferi ma siccome avea molti vizi e peccati ben non si sapea dove collocarlo e tutti lo volevano.
Passarono giorni e dopo molti litigi e urla e schiamazzi, dovette intervenir a riportare l’ordine lo imperator dello doloroso regno in persona. Ei, che sotto sotto era un buon diavolo, tenne un conciliabolo e alla fine proclamò la sentenza:
Giocondo sarebbe stato in tutti i gironi che lo volevano un po’ ciascuno, così non fece torto a nessuno.
Intanto nel borgo di Foiano fu un anno assai ricco, fortunato e fecondo, così si decise di metter per iscritto una disposizione: per la ricorrenza dello Carnevale ogni anno verrà ricordato colui che regalò il primo carnevale più bello e ricco de lo mondo, ossia Giocondo, che per l’occasione verrà proclamato Re.
Per questa ricorrenza verrà creato ogni anno lo fantoccio che si chiamerà Re Giocondo, governerà e presiederà tutta la festa e poi, per scaramanzia affinché la tristezza e lo inverno si porti via, alla fine un bel falò diverrà.
E fu così che da secoli Re Giocondo accompagna la festa di Carnevale di Foiano della Chiana.
La schiacciata fiorentina, dolce
Dolce tipico del periodo carnevalesco è la schiacciata fiorentina.
Non è il solito dolce fritto, ma una sofficissima torta bassa e rettangolare, profumata con sentori di vaniglia e arancia più un mix di spezie con cannella, noce moscata, zafferano e anice stellato. È farcita di crema al latte e sulla superficie, tra il bianco dello zucchero a velo, fa bella mostra di sé il simbolo fiorentino: un giglio bottonato.
La ricetta antica e popolare probabilmente era un impasto di pane che nel tempo è andata modificandosi fino a quella che conosciamo ora. Lo strutto che forse era nell’impasto è stato sostituito con olio o burro.
Caratteristica della torta è la doppia lievitazione dell’impasto che ne garantisce la sofficità.
La sua preparazione è tutt’altro che complicata purché vengano rispettati i giusti tempi.
È una torta perfetta per le colazioni e le merende.
Ma veniamo alla ricetta leggermente modificata e resa più moderna per la vita attuale permettendoci comunque di mangiar bene, sano e senza privazioni.
Una ricetta dove al posto della biga viene usato il lievito per dolci atti ad accelerare i tempi della preparazione.
In questa ricetta è stato omesso il mix di spezie per poter esser gustato dalla maggior parte delle persone, ma è stato mantenuta la parte agrumata dell’arancia per dare quella spinta in più caratterizzante della Schiacciata Fiorentina.
Lo strutto per ultimo è stato sostituito dall’olio evo, più digeribile e più consono, a mio avviso, ad una dieta sana.
Ricetta
Ingredienti
Farina 00 300 g
Zucchero 225 g
Latte intero (temperatura ambiente) 90 g
Olio evo 50 g
Uova (circa 3) 165 g
Arancia 1 (scorza e succo)
Lievito per dolci in polvere 16 g
Baccello di vaniglia 1
Per la decorazione
Zucchero a velo q.b
Cacao in polvere q.b.
PREPARAZIONE
Per preparare la schiacciata fiorentina iniziate a grattare la scorza dell’arancia in una ciotolina, poi spremetene il succo, filtratelo e tenetelo da parte.
Rompete le uova in una ciotola e unite sia lo zucchero che i semi di una bacca di vaniglia. Aiuntadovi con uno sbattitore montate il tutto fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso. Solo a questo punto potrete aggiungere la scorza dell’arancia grattata e l’olio a filo.
Una volta che l’olio sarà stato assorbito completamente versate prima il succo d’arancia sempre a filo, una volta assorbito aggiungete anche il latte a temperatura ambiente a filo.
A questo punto incorporate anche la farina, precedentemente setacciata, aggiungendone un cucchiaio per volta e facendola assorbire prima di aggiungere il cucchiaio successivo.
Una volta terminata la farina aggiungete anche il lievito e lavorate ancora per 2-3 minuti fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo che andrete a versare in uno stampo da 24X17 cm, precedentemente imburrato e infarinato.
Cuocete in forno statico preriscaldato a 150º per 50 minuti (per questa preparazione la modalità ventilata è sconsigliata), una volta cotta sfornate la schiacciata e lasciatela intiepidire prima di sformarla.
Posizionatela su un vassoio da portata e spolverizzate con lo zucchero a velo l’intera superficie e con uno stencil a forma di giglio decorate con il cacao amaro.